LA CASA DEI NOSTRI AVI - DI SANTI LO CURCIO
Ieri, guardando la foto pubblicata da Palma Paume che aveva come soggetto una stanza da letto molto antica, mi sono tornati in mente alcuni ricordi di tanti anno fa che riguardano, appunto, sia questa particolare stanza, che tutta la casa dei nostri nonni.
La casa dei nostri avi che abitavano la città, non erano molto diverse da quelle contadine, infatti tutti provenivano dalla campana e hanno portato con loro i loro usi e i loro costumi e questo è durato fino all'inizio del "900".Mi è anche tornato in mente, che tempo fa avevo letto qualcosa al riguardo e ho pensato bene di andare a cercare trale mie scartoffie e i miei libri.
La ricerca ha avuto il risultato che speravo. Infatti ho trovato una descrizione della casa dei nostri avi descritta da uno dei più grandi studiosi degli usi e costumi della nostra terra, Salvatore Salomone Marino, professore universitario che collaborò col Pitrè allo studio delle tradizioni popolari siciliane, pubblicando numerosi volumi trai quali "Costumi e usanze dei contadini di Sicilia", dal quale è tratto il brano che mi accingo a scrivere.
Casuzza mia, fuculareddu miu!
Casa mia, matri mia!
Casa mia, casa mia, tu si règgia e sì batia!
Con questi tre proverbi il villico, estrinsecando il suo culto di figlio pel proprio focolare, inneggia all'inestimabile tesoro della pace e della gioia domestica. Per lui, la prima, la più potente ambizione è quella di possedere una casa: e nessun contadino va a nozze se non ha prima apparecchiato il suo nido, di proprietà sua assoluta, cosicchè nessun capofamiglia si trova, per povero che sia, che non possegga un tetto sotto al quale egli è sicuro di ripararsi, di trovarvi ristoro e quiete al ritorno dal lavoro, e, quando l'ultima ora suona, di esalarvi l'ultimo fiato.
La casa del contadino è modesta come i suoi desideri. Una stanza terragna, quadra, con i lati da otto a dieci metri, coperta solo da tegoli, con largo uscio ed una o due grandi finestre nella facciata.
Se spingiamo il purteddu e penetriamo all'interno della nostra casa, primo ad offerircisi in vista è un sularu, specie di solaio in muratura che occupa solo il terzo posteriore dell'abitazione e su cui si sale per lo più con una scala a pioli. Esso forma un piano superiore destinato se non per altro a fienile. Al di sotto di esso, lo spazio, bipartito da un muro tramezzo, fa un'alcova da un lato, un camerino dall'altro, e mentre sta in questo il letto per i figli, si accoglie in quella il letto dei genitori. Quando i figli sono in parecchi, e maschi e femmine,, il camerino si assegna a queste, mentre per quelli si dispone un letto sopra il solaio.
Osserviamo il letto frattanto, che fa pompa di se nell'alcova, rifatto , pulito, con lenzuola di tela ruvida si, ma bianchissima, tessuta dalla stessa massaia, con una coltre bianca bambagina a larghi disegni e pur lavoro della padrona, con cuscini coperti di mussola a colori vivaci e ornati di nastri più vivaci agli angoli. Dall'arcata dell'alcova pende poi, ripiegata e appuntata ai due lati,una tendina di mussola a fiorami o ditela turchina, la quale non sta lì solo per adorno, ma per riparo e per decenza.
Ai piedi del letto è la cassa nuziale, venuta col corredo della sposa e destinata pur sempre ad esso, quantunque logoro per il lungo uso.
In capo al letto è inchiodato il capizzali, cioè il Crocefisso e Maria Addolorata, la palma benedetta, e qualche reliquiario: tutt'attorno poi, lungo le pareti dell'alcova, una miriade di stampe belle e brutte di santi e santini d'ogni forma e dimensione e colore, senza cornici, ornate di nastri e cartuzze dorate: figure che la massaia ha raccolto nella sua vita in tutte le feste religiose e fiere e novene che si sono celebrati nel borgo natio od in altri più o meno vicini.
Volgendo lo sguardo al rimanente della casa, ecco in prossimità dell'alcova il telaio, dove la massaia o le figlie alternativamente siedono e fabbricano il rigatino di filo per el proprie vesti, o il fustagno per gli uomini, o più frequentemente la tela, sia l'ordinaria per le lenzuola e le camicie e le mutande dell'uso giornaliero, sia quella finissima. Di faccia al telaio un canterano, con sopra qualche boccia di vetro, qualche ninnolo. Più in la del canterano una tavola da mensa, quadra, salda, con largo e lungo cassetto, e presso o al di sopra di essa un armadio incassato nella parete, privo di sportelli. dove sono disposte le rustiche stoviglie, pendente dal muro troviamo la tavola da spianare (scanaturi) per fare il pane e le lasagne.
Di fronte all'alcova ed al camerino, ai due lati della porta di strada e addossati agli angoli, troviamo: di là il forno e due o tre tannuri (specie di grandi fornelli in muratura).
La casa ha , in fine, poche e rozze sedie col piano di giummara(cordicella di foglie di cerfuglione) e qualche sgabello in legno e per ultimo il cufuni o cufularu, un basso braciere o focolare portatile, in legno e mattoni di forma quadra, intorno al quale troveremo poi nelle sere invernali raccolta la rustica famiglia, ravvivando i tizzoni mezzo consunti e ascoltando le fiabe della nonna.
Le case contadinesche non hanno impiattito, ma un pavimento battuto, fatto con calce e frantumi di pietra calcare compatta. Quelle di città a differenza, alcune avevano un pavimento con piastrelle di cemento, che ancora oggi resistono in vecchie abitazioni del centro storico della nostra Palermo.
di Santi Lo Curcio.
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