PORTE DI PALERMO e LE MURA DI ANGELO GIAMMANCO

                                          
 
 
 
La porta crea un ingresso monumentale e scenografico all'omonima via. Il taglio di Via Roma avvenne nella seconda metà dell'ottocento, ma il tratto iniziale verso Sud, prospiciente alla Stazione Centrale rimase a lungo tempo spoglio, composto soltanto da una vasta piana. Nel 1924 si decise di indire un concorso nazionale al quale parteciparono i più importanti architetti modernisti del tempo: il vincitore del concorso fu il palermitano Giuseppe Capitò. La costruzione non terminò prima del 1936. La data della sua costruzione viene considerata come la fine dell'epoca architettonicamente positiva di Palermo, iniziata da Ernesto Basile alla fine dell'Ottocento.
 
 
 
          
Porta Nuova. Adiacente al Palazzo dei Normanni, è stata per secoli il più importante accesso a Palermo via terra. Da essa partono il Corso Vittorio Emanuele, o Cassaro, la principale arteria cittadina, e, all'esterno, la strada verso Monreale. La Porta Nuova, originariamente voluta nel 1583 dal viceré Marcantonio Colonna per ricordare la vittoria di Carlo V sulle armate turche, subì la totale distruzione nel 1667, quando esplose un deposito di polvere da sparo. Nel 1669 l’architetto Gaspare Guercio la ricostruì integralmente e pensò di porre a coronamento dell’edificio una copertura piramidale rivestita da piastrelle policrome maiolicate con l’immagine di un’aquila ad ali spiegate.
 
 
 
Porta Felice. La porta è l'ingresso dal lato mare al Cassaro, uno degli assi principali della città di Palermo. Prende il nome da Donna Felice Orsini, moglie del viceré spagnolo Marcantonio Colonna, che, nel 1582, decise di dare un ingresso monumentale al Cassaro (l'attuale Corso Vittorio Emanuele), prolungato fino al mare nel 1581. La Porta, costituita da due imponenti piloni, fu progettata dall'architetto Mariano Smiriglio e i lavori si protrassero fino al 1637. L'intervallo di tempo trascorso permise la differenziazione delle facciate dei piloni: così abbiamo il primo ordine (quello che si affaccia a mare) in marmo grigio e con caretteri tipicamente rinascimentali, mentre il secondo (successivo al primo e terminato dagli architetti Novelli, Smiriglio e Tedeschi) con caratteristiche più tendenti al barocco. In seguito ai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, il pilone destro venne quasi interamente distrutto, ma un attento restauro ha riportato la porta al suo antico splendore.
 
 
 
Porta Greca. Viene edificata nel XIV secolo nei pressi della Chiesa di San Nicolò dei Greci ma presto viene distrutta e riedificata nel 1553 ispirandosi allo stile architettonico della Porta di Castro. La prima rivoluzione architettonica avviene nel 1754 con la demolizione di uno dei bastioni che la incorniciavano, mentre l'altro viene demolito nel 1783. In questo periodo la porta viene spostata più verso il mare seguendo il nuovo perimetro murario e sopra di esso viene edificato intorno al 1840 il Palazzo Forcella-Baucina-De Seta dagli architetti Nicolò Puglia e Emmanuele Palazzotto. Lato mare la porta è decorata con un motivo a bugne che accentua il chiaroschuro, nella decorazione troviamo anche delle colonne con relativi capitelli. Sull'architrave invece troviamo festoni di fiori e frutta e delle figure umane sdraiate. In origine erano anche presenti un'iscrizione ed un'aqulia armata simbolo della città, ma queste ultime sono andate perdute. Il lato interno invece è quasi del tutto privo di decorazioni.
 
 
 
 
Porta Reale. Venne costruita nel 1784 in sostituzione della preesistente Porta delle Vittorie la cui costruzione risale al periodo di dominazione araba della città di Palermo (l'originale nome arabo era bàb al futùb). Il nome attuale invece venne dato dalla regina Maria Carolina d'Asburgo-Lorena, consorte del re Ferdinando I di Borbone. La porta è conosciuta anche con il nome di Porta di Santa Teresa per la vicinanza dell'omonimo monastero. È un'opera di grande stile che al contrario delle altre porte è visibile dai 4 punti cardinali.
 
 
 
 
 
 
 
 
La Porta di Vicari (detta anche Porta di Sant'Antonino) era una delle più antiche porte di Palermo. La porta si trova nella posizione attuale sin dal XVII secolo quando venne originariamente costruita, ricevette parecchie modifiche negli anni. La conformazione attuale si deve al viceré Marcantonio Colonna di Stigliano che ne volle la ricostruzione nel 1780. Si trovava all'opposto rispetto alla Porta Maqueda.
 
 
 
Porta Sant'Agata. Nasce in periodo normanno ed il nome deriva dalla limitrofa Chiesa di Sant'Agata la Pedata. La porta ha subito un recente restauro nel 1983 che l'ha resa meglio visibile anche grazie all'allargamento della piazza antistante. Costituisce una delle più antiche testimonianze della cinta muraria medievale. Il Di Giovanni, nella Topografia di Palermo precisa che da nessun documento risulta che sia stata rifatta o trasformata e che, anche quando dopo la lunga guerra del Vespro le vicine mura vennero restaurate, pare che la porta non abbia subito alcuna trasformazione. Sono scomparsi un affresco raffigurante la Madonna del Carmine, dipinto nello spazio tra i due archi, e le figure di due angeli che si trovavano nelle lunette. È probabile che la porta sia stata chiamata col nome della Santa per la vicinanza dell’omonima chiesa che sorge lungo la via del Vespro. In quel luogo, infatti, secondo la tradizione, la martire cristiana nell’uscire dalla città per recarsi a Catania (nell’anno 253) si sarebbe fermata per allacciarsi un calzare, lasciando l’impronta del piede su di un sasso. E qui la folla cittadina fece costruire una chiesa detta S.Agata de petra o S. agata la pedata: chiesa certamente molto antica, anche se non se ne conosce con precisione l’origine. La porta comunque risulta già citata in alcuni atti di vendita del 1275. Si tratta di una porta ad unico fornice con arco ogivale esterno, il quale è definito da grossi conci di pietra, la parte interna invece è ad arco ribassato. Gli affreschi che la decoravano in origine sono ormai scomparsi. La porta è inserita all'interno della mura medievali, di cui è rimasta ancora traccia.
 
 
 
Porta Mazzara. Si trova nel sud ovest nel quartiere della Albergheria. Fu aperta nel XIII secolo e ristrutturata nel 1326 da Federico di Aragona. Nel seicento fu inglobata nel bastione di Pescara e divenne inutile per il transito. Come alternativa, fu costruita Porta Montalto qualche metro accanto, rivolta verso sud. Demolita il bastione nel 1885, la porta venne nuovamente alla luce. Fu costruita a tre fornici: uno grande in mezzo, e due più piccoli ai lati. Al fronte sono visibile i tre stemmi degli armi aragonesi, della città di Palermo e della famiglia di Incisa. Sopra gli archi si trovano ancora i resti di un camminamento.
 
 
 
Porta Carini. È una delle porte più antiche della città, non si conosce la data di prima edificazione, la prima data certa è il 1310 quando venne riedificata. Nella prima metà del XVIII secolo la proprietà passò ad un monastero e le monache la utilizzarono come luogo di svago. Infine nel 1782 la porta venne distrutta per essere nuovamente riedificata. Nel 2003 il comune ne ha curato il restauro riportandola all'antico splendore e l'ha dotata di un impianto di illuminazione notturna. La porta è costrutita in pietra calcarea, lo stile è tipicamente neoclassico, abbastanza austero senza troppe concessioni alle decorazioni. All'esterno troviamo quattro finte colonne a base quadrata con relativi capitelli dorici.
 
 
 
 
 
Via di Porta Cavalieri: l'odonimo è l'ultima testimonianza dell'esistenza dell'omonima porta
Le porte, poste in corrispondenza delle vie di accesso nel paese, dovevano essere almeno quattro, anche se ne risultano documentate solo due (Porta dei Cavalieri e Porta dei Ferri)
Porta dei Cavalieri, nel tratto occidentale delle mura: si trova notizia di essa in alcuni documenti del XVI secolo ed esisteva ancora nel 1664. La porta si trovava in corrispondenza della via che da Bivona conduceva verso Burgio e Sciacca Il toponimo, di origine incerta, si riscontra anche nel nome di una porta della cinta muraria medievale di Agrigento
Porta dei Ferri, nel tratto orientale delle mura: documentata in un atto notarile del 1547 e in uno
del 1555, da essa iniziava la via che conduceva a Santo Stefano, Cammarata e Palermo. Il toponimo potrebbe indicare la presenza di ferraioli  nel quartiere.
Porta meridionale, di cui si sconosce il nome: si trovava in corrispondenza della via per Girgenti, nei pressi della vecchia chiesa madre chiaramontana.
Porta settentrionale, di cui si sconosce il nome: al di fuori delle mura settentrionali si trovava il quartiere  Rabatello
A Bivona esistono, inoltre, due toponimi, Porta Palermo e Porta Vecchia, che, riscontrandosi per la prima volta nella toponomastica cittadina nella seconda metà dell'Ottocento, non dovrebbero riferirsi ad antiche porte esistenti lungo il circuito murario del paese.
 
 

Le Porte scomparse.

Porta Carbone. Attualmente scomparsa, si trovava all'imbocco dell'odierno porticciolo della Cala. Venne edificata nel XVI secolo in stile noeclassico e venne restaurata nel 1778 acquisendo un aspetto barocco. La porta venne distrutta, insieme a tutte quelle commerciali che si affacciavano sulla Cala alla fine del XIX secolo.
Porta Montalto. Venne fatta erigere nel 1637 accanto Porta Mazzara per volere del viceré Don Luigi Guglielmo Moncada, Duca di Montalto (da cui prese il suo nuovo nome), come alternativa per questa porta, che venne inglobata nella bastione di Pescara, e con l'obiettivo di consentire il passaggio dall'Albergheria al corso Tuckory. Dello stesso progetto fecero parte la fortificazione di Porta Felice e di Porta Carini. Nel 1885 il bastione fu demolito e di conseguenza fu distrutta porta Montalto. Da allora è visibile la più antica Porta di Mazzara, nei pressi dell'odierno Ospedale dei Bambini.
Porta di Castro. Venne edificata nel 1620, secondo quanto riporta Fazello, in sostituzione di una precedente porta che era stata chiusa oltre un secolo prima (1460), chiamata Porta del Palazzo, si rese necessario aprire la continuazione della via dei Tedeschi dove risiedevano le guardie tedesche del Viceré. Per la costruzione della porta venne abbattuta una chiesa chiamata Chiesa di Santa Maria dell'Itria, che occupava parte della strada, per far questo venne fatto un decreto regio dall'allora Viceré, conte Francesco di Castro (dal quale la porta prese il nome) e venne chiesto anche l'assenso dell'arcivescovo di Palermo. La porta era ad arco a sesto lievemente ribassato, sull'architrave è presente il motivo decorativo dei festoni, mentre alla base dell'arco sono presenti delle figure antropomorfe.
Porta Maqueda. La porta si trovava nel lato opposto rispetto alla Porta di Vicari nell'omonima strada, venne distrutta a metà del XIX secolo per la costruzione del Teatro Massimo e della piazza circostante.
Porta San Giorgio. Eretta nel 1194 da Federico III, era situata in prossimità dell'attuale via Cavour, con la stessa architettura di Porta di S. Agata. Venne rifatta nel 1724 prendendo il nome di Porta di Santa Rosolia e di S. Giorgio. Questa porta venne infine abbattuta negli anni 1853-1855. A questa porta si usava, fino alla prima metà del secolo XIX, appendere ad appositi ganci le teste dei condannati a morte, chiuse in gabbie di ferro, dopo l'esecuzione della sentenza capitale.
Porta Termini. E' tata una delle porte cittadine di Palermo. Il nome può aver avuto origine dal fatto che il luogo dove sorgeva segnava il termine di un giardino ivi esistente oppure per il fatto di essere rivolta verso Termini (e Messina). In seguito alla conquista normanna del 1072 venne costruita a Palermo una nuova cinta muraria all'interno della quale fu posizionata la Porta di Termini; l'esistenza della stessa è sicuramente attestata a partire dal 1171. In seguito venne restaurata durante il regno di Federico II e di nuovo nel XVI secolo. Nel 1316 subì gli assalti dell'esercito di re Roberto d'Angiò comandato da Tommaso Marciani, assalto che venne eroicamente respinto; stessa sorte toccò, nel giugno del 1325, a Carlo, Duca di Calabria. Nel 1688 vi fu eretto, dal lato che dava sulla città, l'oratorio della Compagnia della Pace; la porta e l'oratorio furono entrambi abbattuti nel 1852 dal generale Carlo Filangieri, principe di Satriano, sia per permettere un facile accesso alla città in caso di insurrezioni che per evitare, essendo già stati usati come fortilizio dagli insorti durante i moti del 1820, lo fossero nuovamente. La porta dava il nome ad una delle più importanti vie di Palermo e fu appunto da via di Porta Termini (ora via Garibaldi) che i garibaldini della spedizione dei Mille entrarono nella città approfittando anche del fatto che essa ne costituiva uno dei lati meno difendibili, provocando così l'insurrezione della città. La porta era custodita da 59 soldati borbonici del 9º di linea i quali, appostati dietro un terrapieno, sostennero inizialmente l'urto dell'attacco ma, successivamente, non vedendo giungere rinforzi si ritirarono verso il corpo di guardia delle Regie Poste, che si trovava vicino alla chiesa di San Cataldo.
 
       
Descrizione  delle mura
 
Il circuito delle mura di Bivona può essere ricostruito grazie alla presenza di documenti in cui è citata l'esistenza di alcune chiese o cappelle intra ed extra moenia  o di toponimi in uso in età medievale Il perimetro delle mura costituisce, grosso modo, il centro storico cittadino: la struttura urbanistica assai irregolare di questa parte dell'abitato si distingue nettamente dai quartieri del paese costruiti successivamente.
 
 
 
Tratto settentrionale
Il Piano Regolatore Generale di Bivona: la zona A corrisponde al centro storico urbano, anticamente cinto dalle mura cittadine
Il tratto settentrionale delle mura, identificabile con la cortina di case di via Sirretta, formava verosimilmente un unico sistema difensivo con il castello; al di fuori delle mura, in prossimità dei quartieri Castello, Fontanza Pazza e Sant'Agata, si trovava il quartiere denominato Rabatello, che nei paesi siciliani indica un sobborgo posto fuori la cerchia muraria.
 
 
 
 
 
 
 
Tratto occidentale
Nel tratto occidentale insisteva la cosiddetta Porta dei Cavalieri, attestata fino al XVII secolo, nonostante non svolgesse più la sua funzione originaria[5]. Fino alla seconda metà del Novecento erano visibili i ruderi di un bastione appartenuto alla parte occidentale delle mura cittadine; il bivonese Giovan Battista Sedita, nel 1909, affermò:
 
 
Tratto meridionale
La parte meridionale delle mura si trovava poco a valle della chiesa madre chiaramontana; un rogito del 1488 ne conferma tale localizzazione:
 
« subtus Matricem ecclesiam dicte terre Bibone, sutta li mura vecchi. »
Nel tratto sud-occidentale doveva esserci una postazione di guardia, come attestato dal toponimo Garita (documentato per la prima volta nel 1593), il cui significato, "torretta di legno per il ricovero delle sentinelle, rimanda al sistema di fortificazioni Ancora oggi un quartiere bivonese è denominato dei Garitani.
 
Tratto orientale
Il tratto orientale si trovava nei pressi del fiume Alba, che attraversava da nord a sud il paese lungo le attuali via Lorenzo Panepinto e piazza Guglielmo Marconi. Al di fuori di questo tratto di mura fu costruita la chiesa di Santa Rosalia, come descritto in una lettera del 1607
I resti delle mura orientali erano ancora visibili fino alla prima metà del XIX secolo: sono citati, infatti, in documenti del 1714, del 1752 e del 1838.
 
 
 
     La scienza di difesa militare nel XVI sec. 
Polvere da sparo, cannoni e soprattutto un nuovo sistema difensivo passivo costituito da mura rinforzate da baluardi e terrapieni, furono i nuovi “alleati” degli strateghi militare del XVI sec., che si preoccuparono della difesa dei centri urbani dagli attacchi di eventuali assalitori.
L’impiego combinato di barriere passive e artiglieria, elaborato dagli strateghi militari rinascimentali, consentirà ai difensori di mettere a dura prova l’assediante, che verrà a trovarsi allo scoperto in una palese posizione di svantaggio, ribaltando il principio che l’attacco è meglio della difesa
    
 
La cinta bastionata era costituita dai lati o cortine che difendevano la faccia di “campagna” e dai   baluardi o bastioni con terrapieno, di forma triangolare che avanzavano verso l’esterno.
Sulle cortine e sui baluardi, con il compito di tenere il più lontano possibile il nemico dalle mura della città, erano piazzati i cannoni di media gittata
In mezzo alle cortine o mura, per difendere dall’alto i baluardi e battere il piano di campagna, furono posti i “cavalieri “ o piazzeforti con i cannoni di maggiore gittata.
Gli assediati per tenere il più lontano possibile i nemici lontani dalla cinta muraria bastionata, moltiplicarono le difese verso l’esterno mediante fossati, scavati intorno alle mura con o senza acqua, piccoli baluardi, di fronte ad ogni cortina chiamati rivelini e lunette di fronte ad ogni baluardo.
Nell’ipotesi che gli assalitori, che disponevano a loro volta delle stesse armi dei difensori, riuscissero a smantellare le difese e a far procedere la fanteria verso le brecce aperte nelle cortine, furono realizzate nelle mura, sia in alto sia in basso, linee di fuoco di soldati armati con fucili.
 
   Nascita della cinta bastionata nella città di Palermo
 
Prima della nascita del sistema difensivo con bastioni realizzato nel XVI sec. dall’Ingegnere Ferramolino, la città di Palermo era cinta da mura e torri quadrate merlate ancora medievali. Questi ultimi, oramai, bersagli troppo facili per i proiettili scagliati dai cannoni, costringerà l’Ingegnere militare Antonio Ferramolino su incarico del Viceré Don Ferrante G onzaga oltre a progettare la nuova cinta bastionata a rivedere ed ad abbassare sensibilmente l’altezza delle mura e delle torri della città.
 “…su lo palazzo si havirà di abattiri quella ultima turri chi nasci in chima di la turri mastra ......item in dicto palazo si haviranno di abattiri quelli chinco turri chi su una appresso l’altra supra la donna d’Itria…”.
 
Il Ferramolino per proteggere i punti più sensibili della città proporrà cinque baluardi secondo il seguente modo che traiamo dagli ordini impartiti nel 1536:
 “ …et primo lo belguardo di lo Spasimo,.....et appresso successive lo belguardo ordinato a torri tunda, et poy lo belguardo ordinato a la porta Mazara, et appresso si seguirà laltro belguardo a la porta di Santagati, et lultimo sia quillo ordinato a lo ribellino di tri tundi in menzo la porta di San Giorgi et la porta Carini…”
La cinta muraria della città di Palermo dopo i cinque baluardi proposti dal Ferramolino, vedrà la nascita di altri bastioni. In una cartina storica risalente al 1571 I bastioni sono dodici e così denominati;
” di San Giorgio - di San Giuliano - di San Vito - Di Pipirito - di San Jacopo - di San  Pietro al palazzo - di porta Mazara - di Sant' Agata - di Sant' Antonio - del Spasmo - Veca - lo Terremoto”.
A partire della seconda metà del XVIII, venute meno le esigenze difensive della città, le cortine difensive e i baluardi saranno o demoliti o privatizzati per essere destinati a giardino pensile.   
 
Baluardi della cinta muraria di Palermo ancora esistenti sono:
 
Baluardo di S. Vito - Il baluardo di San Vito, che si trova tra porta Carini e il teatro Massimo, fu conosciuto in passato anche con il nome di Gonzaga o di “S. Agata delle mura”. Realizzato nel 1536, nel 1781 fu concesso al monastero di S. Vito che vi impianto un giardino con vari padiglioni. Del baluardo resta visibile ancora il “mergolone”, anche se occultato da numerosi corpi di fabbrica ottocenteschi.
Baluardo di S. Pietro - Il baluardo di San Pietro al Palazzo Reale, eretto tra il 1550 e il 1560, prende il nome dalla cappella di S. Pietro o cappella Palatina . Fu conosciuto in passato anche con il nome di “flora di porta di Castro”. Il baluardo, nel XVIII sec., venuta meno la sua funzione difensiva divenne un bell’esempio di giardino pensile.
 
Baluardo dello Spasimo - Il baluardo dello Spasimo alla Kalsa, realizzato a partire dal 1536, prende il nome dalla chiesa omonima realizzata dai padri Benedettini Olivetani nel 1509.
E’ uno dei più integri e begli esempi di ripari misti, di muratura e terra, progettati dagli strateghi e Ingegneri militari del XVI sec.
                     
 
Baluardo Guccia o del Papireto - Il baluardo Guccia o del Papireto in Corso Alberto Amedeo, fu realizzato nel 1536-37. Il toponimo nel corso dei secoli e cambiato numerose volte. Da una piantina del 1571 sappiamo che fu chiamato di San Jacopo e dal Villabianca, porta d’Ossuna o della Balata. Il toponimo attuale di Guccia deriva dall’omonimo palazzo ottocentesco che vi è stato sopra edificato.
 
 
Baluardi demoliti
Baluardo di porta Mazara o Pescara  - Il baluardo di porta Mazara o Pescara, fu realizzato nel 1536 ed ampliato nel 1569 dal Viceré Francesco Ferdinando Avalos de Acquino Duca di Pescara. Fu conosciuto in passato anche come bastione di porta Montalto, per celebrare l’apertura nel 1638 dell’omonima porta da parte del Viceré D. Luigi Moncada Duca di Montalto.
Nel 1885 il bastione fu demolito assieme alla porta, dopo le opere di demolizioni, fu riscoperta la porta Mazara rimasta occultata dal 1569.
Baluardo Aragona - Il baluardo Aragona fu realizzato verso il 1570. Dalla cartina del 1571ricaviamo la notizia che si chiamava di pipirito. Successivamente prese il toponimo da Don Carlo Aragona Presidente del Regno.
Il baluardo fu interessato nel 1637 da un notevole ampliamento. Altro toponimo con cui fu conosciuto in passato è quello di baluardo della Concezione, perché in possesso del monastero della Concezione. Il bastione ospiterà nel XVIII sec. il primo orto botanico di Palermo che sarà successivamente trasferito nel piano della Vigna del Gallo nei pressi del Piano di S. Erasmo alla Kalsa .
Baluardi Vega e Tuono - I baluardi Vega a quello del Tuono o Terremoto furono realizzati uno accanto all’altro verso il 1550 dal Viceré Giovanni de Vega.
   
L’Auria, nell’Historia Cronologica delli Signori Vicerè di Sicilia, scrisse a tal proposito:
”…Eresse in Palermo il bastione vicino al mare presso porta Felice chiamato volgarmente Tuono, e l’altro gran baluardo appresso a quello dal suo cognome Vega appellato, nel mezzo del quale in alto vi è uno scudo di marmo con queste parole
“Vega dedit nomen et formam …”.
La funzione difensiva del bastione Vega era di proteggere le cortine murarie e il bastione dello Spasimo, nonché l’accesso della nuova porta dei Greci;
Il bastione del Tuono, aveva la funzione invece di difendere la cortina muraria del fronte a mare (Foro Colonna, oggi Foro Italico).
Del bastione del Tuono atterrato nel 1754, oggi non rimane alcuna traccia, mentre del bastione Vega, demolito nel 1784, rimane visibile “l’orecchione” tondo, inglobato nel’hotel Jolly.
Baluardo di S.Antonio - Il baluardo di S.Antonio poi di Vicari, edificato in una data posteriore al 1536 e anteriore al 1571, fu demolito tra il 1789 e il 1790.
 
 
 
 
 
 
Baluardo di S. Giuliano - Il baluardo di S.Giuliano edificato nel 1536 è stato demolito nel 1780 Il suo toponimo nel tempo è stato anche di Macqueda o della Donna D’Itria o Vidua.
 
 
 
 
 
 
Castello a Mare  Palermo
 
 
Panorama  del Castello a Mare Palermo
 
 
 
                     La Fortezza San Pietro  Castello a Mare Palermo
 
 
 
 
                               IL Restauro  Del  Castello a Mare Palermo
 
 
Il Castello a Mare si trova nel Parco archeologico del Castellammare, nei pressi della Cala, nel quartiere la Loggia, a nord del porto di Palermo.
È stato il più importante baluardo difensivo del porto di Palermo fino al XX secolo.
Storia
Edificato nel IX secolo, in epoca arabo-normanna, nel corso dei tempo fu ripetutamente restaurato e ampliato per adattarlo ai vari utilizzi che ne fecero i governi cittadini successivi.
Nel XVI secolo assunse la funzione di residenza dei viceré di Sicilia. Vi morì l'insigne poeta Antonio Veneziano, nel 1593, per lo scoppio della polveriera.
Il castello divenne poi sede siciliana del Tribunale dell'Inquisizione (poi trasferito allo Steri).
In età borbonica divenne struttura puramente difensiva, e la fortezza divenne nota per essere stata sede di iniziative anti-borboniche concluse poi negativamente. Durante l'insurrezione di Palermo fu uno dei punti da cui si bombardò la città e venne parzialmente smantellato dopo la partenza delle truppe regie. Tuttavia proprio durante il Regno delle due Sicilie il bastione fu sottoposto a restauri e ammodernamenti fino al regno di Francesco II nel 1860, quando fu assaltato e in parte demolito dalla popolazione.
Nel 1923, nel quadro dell'ampliamento e risistemazione del porto, venne demolito con cariche di dinamite. Subì ulteriori danni durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale.
Nel 2009, a seguito di scavi e lavori di restauro, iniziati nel 2006 per riportare alla luce i resti di un insediamento arabo in piazza XIII Vittime, è diventato il nucleo del Parco archeologico del Castellammare.
Architettura
Fino al 1923 la fortezza presentava una cinta muraria quadrangolare bagnata su due lati dal mare, che racchiudeva al suo interno un enorme complesso architettonico, risultato di continue ristrutturazioni e adattamenti alle varie esigenze occorse nel tempo.
Anticamente composto da un grande maschio di epoca araba, alcune parti normanne (come la cappella della Bagnara), bastioni e zona d'ingresso quattrocenteschi, un palazzetto rinascimentale, una chiesa cinquecentesca (la Madonna di Piedigrotta, edificata su una antica moschea araba), due basse torri esagonali e molte altre strutture e fabbriche di epoca più recente.
Degli antichi edifici rimangono parte della torre maestra, la torre cilindrica e il corpo d'ingresso.